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Caro Marras ti scrivo

di Camillo Langone

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22 aprile 2009

Un giovane ciabattino sardo confida in una lettera al più famoso stilista suo conterraneo il sogno di conoscere un giorno la bottier Olga Berluti, icona della scarpa fatta a mano. Antonio Marras ha mediato e Ventiquattro ha organizzato l'incontro.

«Siediti e togliti gli stivali e le calze» ordina dolcemente Madame Berluti. «Anche le calze?». «Anche le calze». Non l'avevo assolutamente messo in conto, uno non va a intervistare la sacerdotessa della Dea Scarpa per farsi esaminare i piedi. Mi aspettavo di incontrare un'entità ieratica e distante, più un marchio che una persona. E se le calze hanno un buco?, pensavo fra me e me, nascondendo l'imbarazzo alle mille persone intorno, i dirigenti, i fotografi, gli assistenti e il giovane calzolaio che è il vero coprotagonista della giornata: Andrea Marras, determinatissimo ventottenne sardo, la cui bottega si trova in un paese di cinquecento abitanti dal poco ameno nome di Loculi. Provincia di Nuoro, tanto per complicare le cose, quindi lontano sia da Cagliari che da Sassari, le principali città dell'isola, sia dalla Costa Smeralda, dove il fatto-a-mano estasierebbe i continentali.
Andrea, lo chiamo per nome allo scopo di non confonderlo col famoso stilista di Alghero con il quale non ha alcuna parentela, si è inventato calzolaio dopo aver fatto il manovale, il macellaio, il barista. Nessuna tradizione di famiglia, solo una passione che sa di vocazione assoluta, e i consigli iniziali di un vecchio signore che aveva smesso di fare scarpe da venticinque anni. Anche nella Sardegna più conservativa l'artigianato declina rapidamente e trovare un ragazzo voglioso di cucire suole e tomaie è ormai più raro che avvistare una foca monaca.
La specialità di Andrea è lo scarpone da pastore: un solido blocco di cuoio nero, con la suola di gomma liscia «secondo la tradizione». Strano: sui pascoli di montagna non sarebbe più utile disporre di scanalature e artigli, per fare maggior presa? Andrea sorride di fronte alla mia ignoranza dei costumi pastorali: «Si dice che la gomma liscia serve a non lasciare impronte, quando uno va a rubare le pecore». Accidenti: scarponi da abigeato. Questi pezzi di storia sarda costano solo 150 euro, di cui 30 di materiale, e considerando che per farli occorrono due giorni di lavoro si capirà che ci sono metodi migliori per arricchirsi. «Non sono ancora riuscito a comprarmi una macchina decente». Olga Berluti, che adesso mi preme alla base delle dita - «Il metatarso è perfetto!» - ha trovato commoventi gli scarponi di Andrea, ma un tantino pesanti. «Devi alleggerire, l'uomo moderno è un gigante dai piedi di argilla».
Qui a Ferrara, nella manifattura dove prendono forma le scarpe-scultura firmate Berluti, sto assistendo alla presa di contatto tra due mondi lontanissimi. Da una parte ci sono i pastori sardi, uomini arcaici che nel dolore sanno trovare una ragione se non addirittura una bandiera. «I miei clienti vogliono scarpe da domare - dice Marras - che le prime volte diano fastidio. Solo così si convincono che dureranno a lungo». Dall'altra i clienti Berluti, imprenditori e professionisti urbani, eredi di quei dandy, linea Brummel-Wilde, che le scarpe nuove le facevano indossare inizialmente dal maggiordomo, per ammorbidirle al massimo. Madame si è presa a cuore il ragazzo, è prodiga di suggerimenti, vuole affinarlo per offrirgli un palcoscenico più vasto e usa i miei piedi come terreno di esercitazione.
Primo insegnamento: «La misura tradisce». Non basta misurare il piede destro (spesso il sinistro è più corto, a volte è più lungo, raramente è uguale). Non basta nemmeno misurarli entrambi perché lo saprebbe far meglio un computer, e allora addio artigianato, addio anima. Bisogna toccarli, esplorarli, muscolo per muscolo, ossicino per ossicino, dal tallone fino alle dita e dalla pianta fino alla caviglia. E questo è già il secondo insegnamento: «I piedi raccontano tutto di un uomo». Olga Berluti li legge come fossero biografie: «Da bambino sei stato molto amato da tua madre, ti ha fatto portare il plantare». Sì, è vero, confermo, sperando che manipolando manipolando non giunga a scoperte meno innocue. «Dal piede riesco a capire se l'uomo è ricco da generazioni o da poco tempo, se è sadico oppure masochista».
Ci sarebbe da preoccuparsi se non fossi nelle mani di una sacerdotessa, di una vestale rimasta fedele al fuoco acceso nel 1895 da Alessandro Berluti, marchigiano di Senigallia fattosi parigino per realizzare scarpe sublimi. Con Madame Berluti sono coperto dal segreto professionale, o forse confessionale, e nessuno dei presenti verrà mai a conoscere le altalene del mio conto in banca o le mie perversioni. Non raccoglie informazioni per scrivere un libro sulle manie dei ricchi e famosi (non c'è modo di strapparle pettegolezzi su Andy Warhol, o su Marcello Mastroianni, o su Pablo Picasso che ha servito da ragazzina) bensì per confezionare scarpe che si adattino come un guanto sia al piede sia alla psiche del cliente. Io sono stato perfettamente classificato tra gli amanti della morbidezza, del vestire rilassato, quindi mi ci vuole una mezza misura in più. Andrea invece porta maglie aderenti, è nitido, asciutto, compresso, perciò necessita di una scarpa al millimetro, che sia comoda ma che non lo sembri, proprio come piacerebbe ai suoi pastori.
Marras non ha e non potrà mai avere le molto femminili doti psicologiche, quasi medianiche della Maga Berluti ma possiede l'istinto per la comunicazione. La maestra è rimasta colpita dalla modalità con cui l'allievo è riuscito a raggiungerla: con una lettera scritta a mano e non con la solita, prevedibile mail. Una mossa azzeccata che significa coerenza: un artigiano deve credere nella manualità, deve sempre puntare al contatto personale. Ha funzionato, eccome, perché le porte del mondo Berluti non si aprono facilmente, è molto raro che Madame conceda udienza. L'ha fatto per amicizia verso l'altro Marras, lo stilista. «Il piccolino farà strada, sarà il più grande bottier italiano» afferma adesso convinta.
  CONTINUA ...»

22 aprile 2009
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